18 marzo 2018: 170° anniversario dell’evento “Cinque Giornate di Milano”.
L’anno scorso per ricordare la ricorrenza, su suggerimento… ho pubblicato la poesia di Alessandro Manzoni “Marzo 1821” (lunghissima, che ti confesso non aver letto, ma che alla fine di questo post ti ripropongo, nel caso volessi leggerla e/o rileggerla).
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Quest’anno mi sono imbattuto (per caso) in un commento della Adriana Scagliola lasciato a proposito del libro “Le Cinque Giornate” di Carlo Cattaneo edito da Meravigli.
Interpellato l’amico Google e digitando “Cinque Giornate di Milano” tra le tante opportunità di approfondimento (il vostro irrecuperabile dislessico) ho scelto i link di YouTube che ti propongo: una lezione universitaria ed uno sceneggiato TV e con un taglio divertente un film.
Ho seguito prima l’interessantissima lezione di Antonio Scurati, poi… ho visto il film. E così ti consiglio di fare se anche tu non “domini” perfettamente la storia e cronologia dell’ evento.
Lo Scurati è un giovane professore (40/45 direi) che non usa il linguaggio cattedratico del classico saccente, nonostante abbia una grande preparazione. Talvolta utilizza espressioni e modi di dire così talmente attuali da farmi tornare consapevole del fatto che sto assistendo ad una lezione e non ad un… film e dopo... ho visto tutto lo sceneggiato. Bello veramente bello e ben fatto. In bianco e nero, con quei ritmi ed inquadrature anni 60.
Mi ha fatto innamorare della figura di Carlo Cattaneo per saggezza e lucidità di analisi. In un paio di monologhi, dove ci comunica il suo pensiero relativamente ad alcune situazioni italiane o politiche, è così preciso ed... attuale, che mi ha fatto pensare che veramente il tempo passa mentre i problemi, i bisogni e i relativi epiloghi, restino siano sempre gli stessi. «La vera pace solo potrà esistere quando avremo... l'Europa». Mmmmm
Interessante e sulla quale ho riflettuto, è la definizione di “evento” e la relativa citazione che all’inizio della lezione ha proposto lo Scurati.
Mentre la scelta del titolo “Milano afflitta e trafitta”e di proporti come prima immagine “Meditazione sulla storia D'italia” dipinta nel 1850, all’età di 57 anni da Francesco Hayez, sono frutto delle conclusioni della lezione del prof. Scurati, espresse con quella forma ed quegli esempi così attuali.
Consiglio. La video-lezione non è breve, viene inquadrato solo il professore che spiega. Puoi (come ho fatto io) tranquillamente seguirne solo l’audio e tornare al monitor solo quando il prof. sta mostrando un’immagine/documento, ma... non perdere i primi 2 minuti, perché fa un pacato "rimprovero" ad uno/una studente che probabilmente disturba, che la dice lunga sul personaggio Scurati. «Vero chenon lo fai più.»
Buona lezione.
P.s. Tropoooooooooo bello il momento dove il prof. Scurati rallenta il ragionamento perché distratto da un alunno, e guardandolo senza alterarsi e senza minacciarlo, gli/le sorride e dice... "non lo fai mai più, promesso!". Peccato non poter vedere cosa ha fatto lo/la studente e la reazione al "rimprovero".
Mentre, dopo la visione dello sceneggiato ho voluto riascoltare la parte finale della lezione dello Scurati, che parla del rientro in Milano degli austriaci il 6 agosto 1848.
Poi ho letto i commenti ed ho notato che il pubblico attento ha percepito e segnalato l'inesattezza/incongruenza dello Scurati a proposito dell'attacco in Galleria Vittorio Emenuele da parte degli urali asburgici. Galleria che non esisteva perché iniziata/finita nel 1865/1877. Mentre la Galleria dell'assalto alla sciabola era Galleria De Cristoforis. Ma... una svista per me ci sta.
Clicca su quest’icona appositamente* realizzata per aprire il link.
Il film si intitola “ LE CINQUE GIORNATE”. Si tratta del racconto di quell’evento, diretto niente meno che da Dario Argento, quarantacinque anni fa.
Ad oggi, l’unico film** non del genere thriller/horror, ma ironico ed in alcuni passaggi, a parer mio, addirittura dissacratorio.
Poi… in alcune scene di battaglia cittadina, Argento proprio non riesce a farne a meno di mostrarci delle scene crude o truculente, per darci quella scossa che l'hanno consacrato Maestro italiano dell'horror.
Emozione che contrasta col taglio “scanzonato” del racconto, ottimamente interpretato da un giovane Adriano Celentano (con tanti capelli) e da un “adolescente” Enzo Cerusico… in versione "Un romano a Milano". Buona visione.
Se vedom... elbor
Lo sceneggiato Le cinque giornate di Milano, per la regia di Leonardo Castellani, la consulenza storica di Franco Valsecchi e Luigi Ambrosoli. (All'inizio della prima puntata ci sono alcune vecchie e dimenticate "scariche" video, quelle delle TV in bianco e nero diagonali - oggi sostituite dai pixel). Alcuni dialoghi di "coreografia" in dialetto milanese sono delizie per e nostre orecchie, come un Piero Mazzarella, in Ambrogino Rossari, un falegname incarcerato che non si capacita dei propositi "rivoluzionari" del compagno di cella, per la costituzione dell'Italia.
Che interpreta lo sprezzante Feldmaresciallo Radetzky è un grande Arnoldo Foà. All'inizio del 3° episodio ci sono i nostri Svampa e Patruno che intonano una canzone.
Clicca qui per vedere la prima parte dello sceneggiato
Clicca qui per vedere la seconda parte dello sceneggiato
Clicca qui per vedere il trailer del film.
Clicca qui per vedere il film.
* fonte Wikipedia
** Potrebbe essere una bella idea… una Radio di Milano Web. Meditiamo gente, meditiamo.
LeCinque Giornate
Dell'insurrezione di Milano nel 1848
di Carlo Cattaneo
Editore: Meravigli
Collana: Scorci di memoria
EAN: 9788845264245
ISBN: 9788879553995
Pagine: 160
Illustrazioni a 4 colori
Formato: 14,5x21,3
Prefazione di Pietro Esposito
responsabile del Servizio di Storia Locale del Sistema
bibliotecario milanese e curatore degli indici dell’Edizione
nazionale delle Opere di Carlo Cattaneo.
Una storia romantica
di Antonio Scurati
Editore: Bompiani
Collana: Tascabili. Best Seller
Data di Pubblicazione: marzo 2010
EAN: 9788845264245
ISBN: 8845264246
Pagine: 569
Formato: brossura
Marzo 1821
di Alessandro Manzoni
Soffermati sull’arida sponda,
volti i guardi al varcato Ticino,
tutti assorti nel novo destino,
certi in cor dell’antica virtù,
han giurato: non fia che quest’onda
scorra più tra due rive straniere:
non fia loco ove sorgan barriere
tra l’Italia e l’Italia, mai più!
L’han giurato: altri forti a quel giuro
rispondean da fraterne contrade,
affilando nell’ombra le spade
che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno strette le destre;
già le sacre parole son porte;
o compagni sul letto di morte,
o fratelli su libero suol.
Chi potrà della gemina Dora,
della Bormida al Tanaro sposa,
del Ticino e dell’Orba selvosa
scerner l’onde confuse nel Po;
chi stornargli del rapido Mella
e dell’Oglio le miste correnti,
chi ritorgliergli i mille torrenti
che la foce dell’Adda versò,
quello ancora una gente risorta
potrà scindere in volghi spregiati,
e a ritroso degli anni e dei fati,
risospingerla ai prischi dolor;
una gente che libera tutta
o fia serva tra l’Alpe ed il mare;
una d’arme, di lingua, d’altare,
di memorie, di sangue e di cor.
Con quel volto sfidato e dimesso,
con quel guardo atterrato ed incerto
con che stassi un mendico sofferto
per mercede nel suolo stranier,
star doveva in sua terra il Lombardo:
l’altrui voglia era legge per lui;
il suo fato un segreto d’altrui;
la sua parte servire e tacer.
O stranieri, nel proprio retaggio
torna Italia e il suo suolo riprende;
o stranieri, strappate le tende
sa una terra che madre non v’è.
Non vedete che tutta si scote,
dalCenisio alla balza di Scilla?
Non sentite che infida vacilla
sotto il peso de’ barbari piè?
O stranieri! sui vostri stendardi
sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;
un giudizio da voi proferito
v’accompagna a l’iniqua tenzon;
voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
ogni gente sia libera e pèra
della spada l’iniqua ragion.
Se la terra ove oppressi gemeste
preme i corpi de’ vostri oppressori,
se la faccia d’estranei signori
tanto amara vi parve in quei dì;
Chi v’ha detto che sterile, eterno
saria il lutto dell’itale genti?
chi v’ha detto che ai nostri lamenti
saria sordo quel Dio che v’udì?
Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia
chiuse il rio che inseguiva Israele,
quel che in pugno alla maschia Giaele
pose il maglio ed il colpo guidò;
quel che è Padre di tutte le genti,
che non disse al Germano giammai:
va, raccogli ove arato non hai;
spiega l’ugne; l’Italia ti do.
Cara Italia! dovunque il dolente
grido uscì del tuo lungo servaggio;
dove ancor dell’umano lignaggio
ogni speme deserta non è:
dove già libertade è fiorita,
dove ancor nel segreto matura,
dove ha lacrime un’alta sventura,
non c’è cor che non batta per te.
Quante volte sull’alpe spïasti
l’apparir d’un amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
ne’ deserti del duplice mar!
Ecco alfin dal tuo seno sboccati,
stretti intorno ai tuoi santi colori,
forti, armati dei propri dolori,
i tuoi figli son sorti a pugnar.
Oggi, o forti, sui volti baleni
il furor delle menti segrete:
per l’Italia si pugna, vincete!
Il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
al convito dei popoli assisa,
o più serva, più vil, più derisa
sotto l’orrida verga starà.
Oh giornate del nostro riscatto!
Oh dolente per sempre colui
che da lunge, dal labbro d’altrui,
come un uomo straniero, le udrà!
Che a’ suoi figli narrandole un giorno,
dovrà dir sospirando: «io non c’era»;
che la santa vittrice bandiera
salutata quel dì non avrà.
Fermi sulla sponda asciutta,
con gli sguardi rivolti al Ticino appena superato,
tutti assorti nel nuovo e straordinario destino,
sicuri nel cuore dell’antico valore,
hanno giurato: non sarà più che il Ticino
scorra come confine tra due stati diversi;
non ci sarà un luogo dove sorgeranno confini
tra Italia e Italia, mai più!
L’hanno giurato: altri valorosi a quel giuramento
rispondevano da luoghi fraterni,
affilando le spade di nascosto
che, una volta alzate, scintillano al sole.
Tutti si sono stretti la mano destra a vicenda;
le parole del giuramento sono pronte;
o compagni sul letto di morte,
o fratelli sul suolo libero da oppressori.
Chi potrà distinguere le acque delle due Dore,
della Bormida che si unisce al Tanaro,
del Ticino e dell’Orba ricca di boschi
che si uniscono nel Po;
chi [potrà] togliere le acque già mischiate
del Mella e dell’Oglio,
chi potrà togliere le acque dei numerosi
torrenti che si versano nella foce dell’Adda,
quello potrà anche dividere un popolo risorto
in masse disprezzate ed anonime,
e riportarla, indietro con gli anni ed il destino,
agli antichi dolori della servitù;
una gente che sarà interamente libera
o sarà serva tra le Alpi ed il mare;
unita nelle armi, nella lingua, nella religione,
nelle tradizioni, nella stirpe e nel sentimento.
Con quel viso sfiduciato e dimesso,
con quello sguardo rivolto verso il basso
ed insicuro con cui sta un mendicante tollerato
per pietà in terra straniera,
così doveva stare il Lombardo in Lombardia:
la volontà altrui era la legge per lui;
il suo destino un segreto di altri,
il suo compito era obbedire e tacere.
O stranieri, l’Italia torna nella sua legittima
eredità e si riprende il suo territorio;
O stranieri, togliete le tende
da una terra che non è vostra madre.
Non vedete che è tutta in ribellione
dalle Alpi all’estremità della penisola?
Non sentite che si scuote divenendo insicura
sotto la dominazione straniera?
O stranieri! Sui vostri stendardi è presente
la vergogna di una promessa tradita;
un giudizio pronunciato da voi
vi accompagna alla battaglia ingiusta;
voi che gridaste in quei giorni tutti insieme:
Dio rigetta la dominazione straniera;
ogni popolo sia libero e abbia fine
il perverso diritto del più forte.
Se la terra dove gemeste oppressi
copre i corpi dei vostri oppressori,
se la faccia dei dominatori stranieri
vi risultò tanto amara quei giorni;
chi vi ha detto che sterile ed eterno
sarebbe stato il pianto degli italiani?
Chi vi ha detto che ai nostri lamenti
sarebbe stato sordo quel Dio che ascoltò voi?
Sì, quel Dio che chiuse nell’onda
del Mar Rosso l’empio che perseguitava Israele,
quello che pose in mano all’eroina Giaele
il martello e guidò il colpo;
quello che è padre di tutte le genti,
che non disse ai tedeschi mai:
Vai, prendi pure dove non hai seminato;
prepara gli artigli; ti concedo l’Italia.
Cara Italia! Da ogni parte uscì il tuo grido
di sofferenza per la lunga schiavitù,
dove ancora non è spenta
ogni speranza della stirpe umana:
dove già la libertà è fiorita,
dove ancora si prepara in segreto,
dove suscita pietà una gran sventura.
non c’è cuore che non batte per te.
Quante volte dalle Alpi cercavi di scorgere
l’arrivo di uno stendardo amico!
Quante volte volgesti lo sguardo
verso le superfici deserti dei tuoi due mari!
Ecco infine, usciti improvvisamente da te,
vicini ai colori della tua venerabile bandiera,
forti, armati della forza morale della schiavitù,
i tuoi figli si sono alzati per combattere.
Oggi, o valorosi, passi come un lampo
sui visi la forza dei piani segreti:
per l’Italia si combatte, vincete!
Il suo destino sta adesso sulle vostre spade.
O la vedremo risorta grazie a voi
e seduta accanto alle altre nazioni,
oppure ancora più serva, più vile, più derisa
sotto lo scettro orrendo di dominatori stranieri.
Oh giornate del nostro riscatto!
Oh dolente per sempre colui
che da lontano, da parole altrui,
come un uomo straniero, sentirà queste notizie!
E che raccontando un giorno ai suoi figli
dovrà dire sospirando: “Io non c’ero”;
[dovrà dire] che non avrà salutato quel giorno
la santa bandiera vincitrice.