Luglio 2015
Con questo racconto inizia la seconda parte dell’aggiornamento di Luglio 2015, zeppo di ricordi, riflessioni e qualche rimpianto. Avvertito.
A dicembre dell’anno scorso l’ho cercata in ogni scatola, pacchetto, buco della casa, volevo portarla alla Retrospettiva assieme agli altri oggetti di papà, ma niente. Sapevo di non averla buttata, ma non saltava fuori. Finalmente, qualche giorno fa, l’ho ritrovata: la "mitica" Tazza Rossa.
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La ricordo bene, al mattino quando mi alzavo lei era lì, vicino al posacenere, sul bordo della tavolozza dove il colore ad olio era secco, con dentro un ciccinin di caffè avanzato. Aveva già preso servizio, l’aveva servito nelle due ore che papà amava passare al cavalletto, prima di andare in Comando. Nel tardo pomeriggio si davano appuntamento al tavolo, di fianco alla scatola del tabacco, tra lo sverniciatore ed il vinavil, vicino al Sidol, ma lontano dai coltellini per sagomare i cartoni e le assicelle. Lì rimaneva fedele e paziente assieme al Trinciato Forte, sino all’ora di cena.
Alla sera, tra le boccettine di china e i pennelli sottili dalle setole morbide, nella penombra della stanza, sotto l’intimità della luce bianca dalla lampada da tavolo, si disputava le labbra di papà, con l’immancabile sigaretta, sino alle 22:00h. Poi lui la lasciava lì a riposare, col solito ciccinin di caffè avanzato, che alle 05:00h del giorno seguente, buttava, per sostituirlo con dell’altro nuovo, del quale, dopo due ore, sarebbe rimasto un ciccinin per continuare quella relazione a tre, durata anni e anni.
Quando si è trasferito, se l’è portata via, assieme agli oggetti più cari, quelli che sapeva sarebbero serviti a lenire quella nostalgia che certamente l’avrebbe aggredito.
Nostalgia della sua Città, degli amici, del dialetto…
Lo so, non si vede la Tazza Rossa, se l’avessi saputo prima… l’avrei fatta entrare nell’inquadratura, ma… quante sono la cose che col senno di poi avremmo fatto? Comunque aspetta, forse con altre foto riesco a convincerti.
Tornando al dialetto. Lasciami alleggerire “l’atmosfera” con un racconto di un gioco che a volte faceva, qui a Puerto, quando un venditore di appartamenti in multiproprietà, lo fermava per proporgli un affarone. Gliel’ho visto fare e ti garantisco che mi sono piegato in due dal ridere. Il tipo lo fermava cercando un approccio amichevole. Hola, que tal? De donde eres? E papà: Yo??? Russo! Quello spiazzato, si riprendeva, e continuava il lavoro con la tiritera imparata a memoria… tatà, tatà, tatà tatà, a un certo punto papà, guardando con una faccia da “rintronato” cominciava a dirgli in milanese un sacco di stupidaggini, di frasi insensate, tipo: - ma mocchela toder, (perché in genere sono tedeschi quelli che fanno PR) va a cà toa, che chì te cresset, faccia de cuu de can de caccia.
Poi andandosene lo mollava li sul marciapiede dicendogli: gh’hoo minga temp de perd mì… Quello totalmente disorientato, restava lì un attimo intontito, puntava un altro “cliente” e.. Hola, que tal? De donde eres?.
Insomma hai capito, la Tazza Rossa l’ha accompagnato per un sacco di tempo, ora, ormai vecchia e sbeccata, anche all’interno, non serviva più per il caffè, (la sigaretta se n’era andata qualche anno dopo essere arrivati in Spagna – comunque sempre troppo tardi), ma lui la Tazza Rossa non l’ha abbandonata. L’ha infrattata dietro al mini-cavalletto da tavolo, (chissà quanto gli sarebbe piaciuto dipingere di nuovo sul suo possente, grosso cavalletto “professionale” che l’ha accompagnato in tutti gli studi avuti a Milano) e siccome era ancora importante per lui, l’ha usata come contenitore.
L’angolo di lavoro di papà a Puerto, il cavalletto da tavolo
e due scatolini “autarchici” per contenere cotone e carboncini.
La foto da bene l’idea delle dimensione del cavalletto.
Contenitore di pezzetti di spugnette, batuffoli di reticelle dei sacchettini dell’aglio, gomitoli di paglietta, perfetti tamponi, che sul colore grasso ed ancora fresco, davano ai suoi muri, le scrostature e le sbrodolate di umidità che nei suoi quadri, ci colpiscono per veridicità. Poi, per dimostrarle l’importanza del loro lungo rapporto, ha continuato a dipingerla, assieme agli altri, nelle sue classiche composizioni di oggetti dipinti uno vicino all’altro, che, a chi li guarda, suggeriscono quei nostalgici ricordi meneghini che lo caratterizzano.
Premessa Ti prego di non considerare ciò che ti mostro come una “macabra deviazione ” che mi ha assalito, ma come piuttosto, questo sì, il desiderio di farti conoscere, di condividere particolari, caratteristiche, capire abitudini, intuire aspetti e dettagli del carattere di papà, e della sua vita artistica in España, che non conosci, o solo supponi (avendolo conosciuto solo qui) e che purtroppo, solamente poche persone, esclusi i suoi parenti, potrebbero confermare. (Nemmeno a farlo apposta, che io ricordi, coloro che avrebbero potuto confermare la veridicità di ciò che ti mostro, come gli amici Artemio Nicolini, Gianni Greppi, Sergio Vai , anche loro sono scomparsi).
Questa è la stessa immagine che hai già dell’angolo di lavoro, ma suddivisa in aree. A seguire ti ripropongo, con differenti angolature, i riquadri evidenziati in questa foto, con un dettaglio maggiore. Queste foto le ho scattate a dicembre del 2014, quasi un anno dopo la sua scomparsa, quando sono andato a Puerto per prendere le sue opere, targate España da esporre alla mostra di gennaio. Mi sembra interessante mostrartele, sia per dare una “spiegazione” alla scelta/costrizione lavorare solo opere di dimensioni ridotte e per mostrarti come “leniva” la nostalgia della sua Milano.
Le sue cassettine preferite. Come puoi notare Nino Rossi e Milano la facevano da padrone.
Lo stemma della GIL e una spilla della “bella abissina”, assieme alle mini-mollette dei panni,
fanno parte degli oggetti che sappiamo amava raccogliere. Quella di raccogliere
o annotarsi delle frasi famose o simboliche o delle parole strane o “mai” usate,
era un altro divertimento che aveva.
La mensola piena di oggettini ordinati secondo un suo criterio che per anni restavano ad impolverarsi, come in tutti gli studi che ha avuto a Milano, a Puerto era dietro il cavalletto da tavolo.
Bhe… qui non serve nessuna spiegazione: Nino Rossi, Fausto Coppi, Fidel, i disegni
delle maggiori ed importanti “entità e iniziative meneghine” di allora,
affiancate alla foto di Albert Einstein, non serve scomodare quest’ultimo
per darne un significato intelligente.
Prosopagnosia. Papà riteneva esserne affetto. E pensare che gli bastavano quattro segni
e due parole per dipingere a memoria uno scorcio… per esempio.
E… guarda, guarda lì dietro, che ne spunta il manico... Te lo giuro, non l’ho messa io
e quando ho scattato la foto non avrei mai pensato che l’avrei utilizzata,
se non per ricordarmi in un momento di saudade della sua squadra e del “misuratore”.
Oltre a ciò che si vede a colpo d’occhio, nota la molletta rossa su cosa è pinzata… Il tollino “autarchico”.
Ok… basta coi ricordi nostalgici e piagnucolosi. Tiremm in’ans – Andiamo avanti. (Ecco, questa frase per esempio, non l’ho mandata all’Adriana prima di pubblicarla. Se sai come si scrive… scrivilo poi nello spazio per i commenti. Ho mandato un sms ad Adriana, giusto per vedere se ameno una l'avevo azzaccata: tirèmm innanz ha risposto. Ce ne fosse una che ci prendo...).
Un abbraccio. elbor