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Febbraio 2016
Un personaggio di grande competenza e attendibilità relativamente alla storia della nostra Città, è Bruno Pellegrino. L’ho conosciuto recentemente, l’ho apprezzato subito e fortunatamente ho visto che è anche una persona affabile e disponibile, tant’è che… 

 

 

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…alla mia richiesta di poterlo importunare, di tanto in tanto, per trarre spunto per argomenti interessanti o informazioni certe da pubblicare qui sul sito, ha consultato il suo archivio e collegandosi ad una “figura” trattata questo mese, m’ha inviato un pezzo da lui scritto per un quotidiano, che vado a proporti immediatamente. 

Buona lettura. elbor


 

Chi reca sul capo il peso di molte, ahimè troppe,  primavere forse ricorderà la "Befana del Vigile" che oltre mezzo secolo fa si celebrava a Milano. nata nel 1948. 

Befana dei Vigili 
di Bruno Pellegrino   03.01.2008      

«…mi assegnarono al traffico (…)Ebbi il crocicchio, l’inferno di San Babila», «…mi ergevo fra il corso Matteotti e via Manforte… come la statua delle statue milanesi», «…un gigantesco vigile dalle enormi braccia tese, dagli enormi guanti immacolati…», «…veicoli e pedoni pareva che mi sgorgassero dalle maniche…», «un mio gesto, o un mio colpo di fischietto, immobilizzava tutti…».
Nulla come questo brano, tratto da  Le milanesi  di Giuseppe Marotta, rende l’idea dell’autorevolezza, del potere quasi, di cui godeva un tempo il nostro “ghisa” e, insieme, del rispetto e della soggezione che incuteva all’automobilista, al ciclista e al pedone.
Sì, anche al pedone: chi non ricorda, infatti, d’aver visto nei tempi andati un qualche passante pagare rassegnato la multa elevatagli per esser transitato col rosso, o solo fuori dalle catenelle o dai chiodi (così si chiamavano gli antenati delle strisce pedonali)? 

Insomma, il vigile milanese era onnipotente come un …”abitator d’Olimpo”. Già, perché non avevan forse l’aria di doni offerti in sacrificio ad un dio pagano quei panettoni, quelle bottiglie di spumante o di barbera, quei torroni di Cremona, quelle confezioni di cioccolatini, biscotti e caramelle che nel giorno della Befana i milanesi di 50 anni fa deponevano ai suoi piedi? Ed egli, torreggiante sulla sua pedana a forma di tamburo e piazzata nel bel mezzo dell’incrocio, interrompeva per un attimo quella rituale e un po’ enfatica gestualità per ringraziare di sotto il casco con un  sorriso benevolo.

Forse l’epiteto di  ghisa  potrebbe sembrare irriverente, se non si sapesse che è da sempre riferito al cappello a cilindro (o tuba) scuro – in tutto simile al tubo affumicato delle stufe in ghisa di una volta – portato dai primi vigili urbani i quali, per ciò stesso, s’erano ben presto meritati il titolo di  cappelle  o  cappelloni  ( cappellón ) quantunque, istituendoli nel 1860, il sindaco Beretta, avesse scelto per  loro il nome di  sorveglianti urbani  o  municipali  e un’uniforme che, oltre al caratteristico cilindro, prevedeva una palandrana (redingote) bleu, guanti di pelle ed un bastone con tanto di … fiocco.
Quando nel 1898 il copricapo dei nostri vigili assunse l’attuale foggia a elmo o casco – sul modello di quello in dotazione ai policeman londinesi – i milanesi smisero a poco a poco di chiamarli cappelloni, riserbando loro il solo soprannome di  ghisa, anche per via delle divise che ora erano di un nero antracite al pari del cappello. 

Divise che un bel giorno diventeranno, ma solo d’estate, bianche come quelle degli ufficiali di marina. Ma poi vennero abolite, forse perché troppo eleganti.

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